Il trappeto ipogeo nel Salento è il testimone nascosto di una millenaria civiltà.
Civiltà drammatica, spietata, di uomini e bestie asserviti ad una fatica estenuante, parimenti insopportabile agli uni ed alle altre, eppure assolutamente necessaria per far sgorgare, alla fine di lunghi processi di lavorazione, loro liquido dell’economia salentina.
Come l’ulivo è l’aspetto paesaggistico caratterizzante del panorama salentino, il trappeto sotterraneo è stato parte imprescindibile della cultura economica e sociale del Salento, il luogo in cui si è concretizzata, o ridimensionata, o svanita la speranza, per la stragrande maggioranza della popolazione, di affrontare la stagione invernale in maniera meno stentata.
Al trappeto sotterraneo, al lavoro durissimo che vi si svolgeva in condizioni insostenibili, ai suoi operatori, i “trappitari”, l’ “anichirio”, la “ciuccia”, è legata gran parte della produzione poetica popolare in lingua dialettale del Salento.
I vecchi frantoi ipogei conservano, in modo estremamente distinto, i segni della forte e paziente mano dell’uomo e posseggono una “spazialità” propria degli edifici religiosi, fatta di penombre e di silenzio.
Sono spazi che si sentono immediatamente familiari, che invitano a penetrarli, a conoscerli, a riviverli, perché sono stati costruiti da padri che pensavano alle necessità dei figli.
Questa è virtù preziosa delle opere architettoniche e, purtroppo, è la prima a perdersi quando qualche “appassionato” decide di sottoporre a cosiddetto restauro un vecchio frantoio.
Perché ipogei? Il motivo più comunemente noto che faceva preferire il frantoio scavato nel sasso a quello costruito a pianterreno era la necessità del calore. L’olio, infatti, diventa solido verso i 6° C. Pertanto, affinché la sua estrazione sia facilitata, è indispensabile che l’ambiente in cui avviene la spremitura delle olive sia tiepido.
Il che poteva essere assicurato solo in un sotterraneo, riscaldato per di più dai grandi lumi che ardevano notte e giorno, dalla fermentazione delle olive e, soprattutto, dal calore prodotto dalla fatica fisica degli uomini e degli animali.
Accanto a questo, tuttavia, vanno considerati altri motivi, principalmente quelli di ordine economico.
Il costo della manodopera per ottenere un ambiente scavato era relativamente modesto perché non richiedeva l’opera edilizia di personale specializzato, ma solo forza di braccia, e non implicava spese di acquisto e di trasporto del materiale da costruzione. Il frantoio ipogeo, inoltre, presentava il vantaggio di permettere il rapido e diretto svuotamento dei sacchi di olive nelle cellette sottoposte, attraverso le aperture che avevano al centro della volta, facendo risparmiare, anche questa volta, tempo e manodopera.
Anche lo smaltimento degli ultimi residui della produzione olearia era agevolato dalla facilità con cui potevano trovarsi, data la natura carsica del sottosuolo, le profonde fenditure naturali che ingoiavano ogni traccia di quei rifiuti.
A partire dal XIX secolo i frantoi ipogei furono progressivamente dismessi – per ragioni molteplici conseguenti soprattutto all’evoluzione industriale ed a più raffinati ed idonei processi di lavorazione – e sostituiti gradualmente da frantoi semiipogei ed infine in elevato.
Ma il disuso, l’usura del tempo, i decori di gusto primitivo che ornano i vecchi trappeti ipogei, ed ancora la varietà delle piante (a raggiera, longitudinale, multilineare, a camera, ecc.) che ne caratterizzano l’aspetto spaziale, probabilmente suggerito dalla costituzione del sottosuolo più che da una preordinata idea funzionale, ed infine i resti di macchine ciclopiche ancora ivi presenti, concorrono assieme a realizzare in ogni trappeto una magia ogni volta singolare.
Tratto dalla collana “Puglia Rurale” – Regione Puglia
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